Il tempo della consapevolezza

La certezza sulle perfette regole della matematica e della fisica, al termine degli studi universitari, avevano accresciuto in me la convinzione dell’esistenza di un confine netto tra il mondo reale, osservabile e misurabile, ed il resto. Questa separazione portava ad assumere un atteggiamento di distacco e superiorità nei confronti di coloro che affrontavano lo studio di fenomeni naturali e forse inspiegabili, con approcci più filosofici e speculativi: è la conseguenza culturale del metodo di Galileo, che sancì la nascita della scienza proprio come separazione dalla filosofia, e la conseguente difficoltà di distinguere la scienza dalle pseudoscienze e dai quesiti metafisici della filosofia e della religione.
Questa separazione, se da un lato ha permesso lo sviluppo e la implementazione di metodi “scientifici” e razionali al perché delle cose, ha tuttavia esasperato la convinzione di poter risolvere qualsiasi problema affidandosi alla ragione razionale, trascurando quella componente particolare del processo cognitivo che è legata al sé ed alla sensibilità personale, a reazioni istintive del corpo o all’intuito.
Il percorso dell’uomo di scienza, negli ultimi quattro secoli, è stato indirizzato a fidarsi solo di ciò che può osservare, misurare, testare e riprodurre, ma nello stesso tempo, il ricercatore è consapevole che molte domande non hanno risposte. Talvolta si preferisce negare l’esistenza di una domanda, pur vivendo la chiara consapevolezza dei limiti del sapere.